Sito Storico "Un Omaggio al DUCE" - Online dal 28 Luglio del 2000 un impegno sempre rinnovato perchè non dobbiamo mai dimentichare quello che ha fatto Benito Mussolini per l'Italia e per gli Italiani. Portare avanti la sua idea è il nostro compito. Il Ventennio Fascista è stato l'unico, dopo duemila anni a ridare gloria all'Italia. W Il DUCE W Il Fascismo !

I Documenti

Tre grandi fascisti siciliani - Parte 3°

Luigi Pirandello
Politico – Artista

A parte poche lodevoli eccezioni, la dimensione politica di Luigi Pirandello è stata, quasi sempre ignorata. Eppure ad una lettura attenta,profonda, di molte di molte delle sue opere non può sfuggire che l’adesione del drammaturgo al fascismo fu tutt’altro che occasionale o,anche peggio, opportunistica.
Motivazioni letterarie,filosofiche, ed esistenziali, indussero Pirandello a riconoscersi nel Fascismo. Ed è proprio da queste motivazioni che bisogna prendere le mosse per comprendere le ragioni di fondo che portarono Pirandello ad identificarsi con il regime di Mussolini. La sua adesione al Fascismo è da fare risalire a posizioni espresse, in molti scritti,anteriori al 1922. Pertanto è da ritenere che le origini, dell’adesione di Pirandello al Fascismo,vadano cercate nell’implicata critica alla vita democratico-borghese di cui era permeata la società italiana degli inizi del secolo.
Critica condotta sulla base di una visione pessimistica dell’uomo, improntata quasi a “tragedia cosmica” nel rilevare l’impossibilità per l’individuo che vive in una società apparentemente felice, quale quella borghese,di realizzare appieno la propria “coscienza”; tragica ancora, perché fondata sulla lotta per fare acquisira alla coscienza stessa una “forma”: i ciò sta anche la “dionisiacità” di Pirandello ed in ciò possibile scorgere anche un certo, e probabilmente inconsapevole, neitzschenesimo. L’ideologia liberaldemocratica aspira a creare una società perfetta le cui strutture siano, quanto più possibile, immutabili, ponendosi, nello stesso tempo, come strumento di liberazione dell’uomo, Pirandello capovolge tale assunto nel ritenere l’infelicità individuale permanente anche in una società cosiddetta “felice”, perché la società percepisce, degli esseri singoli,soltanto la maschera,così come ogni uomo vede soltanto la maschera degli altri, ciò che appare.
Non c’è dunque per Pirandello la possibilità di liberare la propria individualità, acquisire la propria “coscienza” in mezzo agli altri, quando si è costretti a vivere degli stessi valori che annullano e livellano. Nei “sei personaggi” ,infatti, scrive: “Il dramma, per me,è tutto qui, nella coscienza che ho che ciascuno di noi si crede uno ma non è vero:è tanti, tanti secondo le possibilità d’essere che sono in noi…Ce ne accorgiamo bene quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all’improvviso come agganciati o sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto, e che, dunque,un’atroce ingiustizia sarebbe giudicarci solo da quello”.
In altre parole, è la consapevolezza che la società borghese non ammette una maturazione della coscienza che vada oltre i valori borghesi stessi; Pirandello, che non può pertanto accettare le leggi o le regole di un tale tipo di società,è, di conseguenza, contro la “morale” che presiede ad essa, contro quella stessa “coscienza” che rappresenta il punto di frattura fra l’individuo e gli altri che lo circondano. La “coscienza”, secondo Pirandello, non può sottostare a regole che le siano contrarie, perché ciò vuol dire farla morire,annichilirla, anche se si riconosce, al tempo stesso,che essa, poiché è Vita deve calarsi in una Forma e Costruzione; è questo il motivo che presiede a tutta l’opera pirandelliana.Ed è anche l’intuizione sulla cui base è sorta tutta la filosofia moderna da Kant in poi, come ebbe ad osservare Adriano Tilgher nel 1923. Su questo dualismo “Vita e Forma” Pirandello costruì il “Mattia Pascal”, esponendo in esso la sua avversione per il valore assoluto delle leggi stabilite dalla società borghese al fine di mediare tra l’ “Io” e gli “altri”.
La storia di questo secolo ha detto quanto fallaci fossero le astrazioni borghesi, il cui fallimento politico è da mettere in relazione al fatto di non essere riuscite a creare quel rapporto organico fra individuo e società, tanto che l’individuo, soprattutto nei primi anni di questo secolo, ha finito per estranarsi,sempre di più, dei problemi della comunità nazionale, incubando quel sentimento di rabbia, e di anarchico ribellismo, che doveva fatalmente esplodere e trovare nuove forme che potessero contenerlo; la liberazione della coscienza finì, così, per consistere proprio nella rivolta contro la democrazia borghese avversata da Pirandello, culminante in un evento rivoluzionario. Tale “evento” Pirandello contribuisce,non poco, a prepararlo, culturalmente e spiritualmente, attraverso le pagine del Mattia Pascal, ed in modo particolare là dove fa dire al suo personaggio: “Ma la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché quando il potere è in mano di uno solo, quest’uno sa di essere uno e di dover contentare i molti;ma,quando i molti governano pensano solo a contentare se stessi e si ha, allora, la tirannide più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà.Ma sicuramente!oh, perché credi che soffra io?Io soffro appunto per questa tirannia mascherata da libertà…”. Non vi è chi non veda in questo passo non solo l’aspra critica alla democrazia senza veli, ma soprattutto delle analogie con il Mussolini rivoluzionario ed interventista, “tiranno ribelle”, per usare un espressione pirandelliana, e comprendere, quindi, l’ammirazione che lo scrittore siciliano ebbe fin dagli esordi politici per il futuro capo del fascismo. Come in Mussolini, così in Pirandello, si riscontra una predisposizione all’azione da una parte ed il disprezzo per le ingannevoli illusioni del socialismo dall’altra. E’ su questi due piani che si esplica l’adesione al fascismo di Pirandello: il fascismo, infatti, è già in lui, nelle sue opere, nella sua visione del mondo e della vita, nel suo desiderio di dare possibilità di realizzazione alla “coscienza” dell’individuo, realizzazione che prescinda da tutto ciò che è vecchio, forma sclerotica che rende prigioniere l’uomo, sia essa la “forma” democratico – borghese che l’utopia socialista.
L’una e l’altra sono partecipi di uno stesso “caos” dice Pirandello – e la coscienza come “vita” ha bisogno invece di un “ordine”. Può sembrare questa una contraddizione, ma lo è solo in apparenza. Assodato che l’uomo è per sua natura un essere sociale, la sua tragedia di “ribelle” non può tradursi nella consapevolezza della propria alienazione agli altri la quale, ripudiata la convenzione democratica, si trasforma in impulso ribellistico nei confronti dei consociati in una totale donazione agli altri. E dal momento che ciò può avvenire soltanto in un ambito sociale, e, secondo Pirandello, ogni società è tirannica, ne segue che il ribelle, esaurita la propria lotta contro la società si fa tiranno, cioè si identifica con la società. Il mantenimento dell’ordine è quindi per Pirandello il riconoscimento tragico e doloroso che lega l’uomo a questa società.
Date queste premesse, non è difficile comprendere perché Pirandello nell’ordine della società giolittiana scorge le origini del caos, mentre, al contrario, in quella fascista intravede una parte di “filosofia dell’ordine” in grado di “regolare” i conflitti e prevenire lo scatenamento degli odi elementari. Nella prima, in quella borghese, la coscienza è costretta in “forme” prestabilite, mentre in quella fascista è in continuo divenire, perché è la coscienza stessa che fa la forma secondo le proprie aspirazioni. Pirandello, infatti, basa la sua adesione al fascismo sulla rinuncia di ogni “illusione collettiva” fondata su motivazioni ideologiche. Ed il “primo” fascismo sappiamo benissimo che fu essenzialmente anti – ideologico: in esso, infatti, confluirono le idee più disperate e nell’insieme fu improntato ad un relativismo socio – politico molto vicino alle idee di Tilgher e Bensi. Tanto è vero che lo stesso Mussolini scrisse che il fascismo “nacque da un bisogno di azione, non fu partito, ma, nei primi due anni, antipartito e movimento”.
Ed in altra occasione affermò che le “pregiudiziali sono meglio di ferro o di stagnola. Non abbiamo la pregiudiziale repubblicana, ma quella monarchica, non abbiamo la pregiudiziale cattolica o anticattolica, socialista o antisocialista. Siamo dei problemisti, degli attualisti, dei realizzatori che si raccolgono intorno ai postulati di un programma comune”. L’anti – ideologia del primo fascismo rispecchiava le conclusioni del pensiero irrazionalista, anti – intellettualista e pragmatista; il discreditato delle ideologie classiche confrontate con la realtà nuova, con la prova della guerra, con problemi e necessità imprevedibili, insolutibili in una concezione organica e sistematica che non poteva non trovar consenziente Luigi Pirandello. Come è stato notato dallo storico Emilio Gentile, nel volume le origini dell’ideologia fascista (Laterza), “L’anti – ideologia del primo fascismo era, in fondo, l’unico possibile atteggiamento mentale e pratico per chi, convinto del fallimento di tutte le precedenti. Ideologie ancora esistenti e della impossibilità di definire teoricamente la complessità della vita sociale, era comunque smanioso di agire. Pirandello era fa questi, per cui non deve destare meraviglia se nel settembre 1924, nel momento più critico del fascismo al potere, a poche settimane dall’assassinio di Giacomo Matteotti, inviava a Mussolini un telegramma di questo tenore: “Eccellenza, sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio.
Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregerò come massimo onore tenervi il posto del più umile ed obbediente gregario”. Al messaggio fece seguire un’intervista rilasciata al giornale “L’Impero” nella quale, fra l’altro, il drammaturgo affermava: “Sbarazzare il terreno dalle chiacchiere, sopprimere la Camera dei Deputati, sostituirlo con un’assemblea mista di tecnici e di rappresentanti delle istituzioni basilari dello Stato, sopprimere la stampa avversaria”. Dissi che, applicavo il decreto sulla stampa come misura eccezionale per impedire una macraba ed oscena propaganda di odio partigiano, s’era soppresso ben poco e col solo risultato di rendere vana e nociva l’applicazione di quel decreto. Vana perché la propaganda dell’odio poté avere il suo frutto nefando nella uccisione dell’onorevole Casalini, nociva, perché è stata e seguita ad essere facile pretesto di gridar vendetta per la “conculcata libertà”. Beato Paese il nostro, dove carte parole vanno trionfe per la vita, garagogliando e sparando a ventaglio la coda come tanti tacchini. Eppure s’è visto sempre che un po’ di bene s’è avuto solo quando, senza gridare e senza neppure alzare le mani, semplicemente ma risolutivamente, s’è andato incontro a queste parole, che subito allora sono scappate via sperdendosi di qua e di là, con la coda bassa e avvilita dalla paura”. L’adesione non poteva essere più piena, più entusiastica e convinta. Sottoscrivere il manifesto degli intellettuali fascisti non fu per Pirandello un atto di sottomissione, ma di consacrazione definitiva alla causa che egli aveva contribuito a preparare nelle coscienze.
Comunque, ben al di là di tutto ciò, la chiave per intendere compiutamente la posizione politica di Pirandello è nella concezione dell’artista – politico come interprete capace di dare “oggettività” alla “soggettività”, vale a dire trasporre i fatti e le considerazioni umane in un modello sociale e statuale, quindi “forma”, in grado di recepirli adeguatamente. Il politico – artistico è il solo in grado, secondo Pirandello, di raffigurare e di raffigurarsi i fatti umani oltre l’alienazione che li contamina, di disporli tutti su un stesso piano, di estendere ogni singolo evento a problema universale senza, peraltro, dettare leggi assolute, ossia, finzioni ideologiche. Analoga è la posizione di Mussolini riguardo al politico come artista, cioè quale “modellatore” di masse, così come veniva definito Lenin, che era considerato da Mussolini un vero e proprio artista ante Litteran. Fra i molti scritti di Pirandello, quello che può darci l’immagine più chiara della sua concezione del politico – artista è il saggio su Verga, la cui prima stesura è del 1920. In esso Pirandello osserva: “tutte le concezioni intellettuali della vita che risultano da opere d’arte vanno valutate: nulla è più stolto che il chiederne ragione all’artista in nome della vita pratica. E infatti, non la concezione intellettuale della vita che risulta da questa mirabile opera, giova a noi – concezione che può apparire perfino deprimente o almeno contraria all’animo nostro mutato e non più da vinti, quanto un’altra opposta può apparire consona ed esaltante -, ma giove a tutti lo stesso spogliarsi d’ogni superfluo per arrivare a vivere una realtà tutta da creare, la stessa forza duramente operante, lo stesso richiamo alle origini di cui Verga ci dà l’esempio; necessità fondamentale e anche così alla creazione di una vera opera d’arte come richiamo alla vita d’un popolo questo spogliarsi, questa forza costruttiva, questo richiamo alle origini che aprono la via alla sola conquista necessaria agli uomini e ai popoli: la conquista del proprio stile”. Tutto qui il fascismo di Luigi Pirandello.
La coscienza acquista la propria forma e conquista il suo stile. La ribellione, quale Weltanschauung, diviene ordinamento politico. La tragedia umana rivive in altre forme storiche e quando esse si sclerotizzano deve necessariamente riesplodere. Il giudizio di Mussolini su Pirandello al riguardo è illuminante: “Pirandello fa, in sosta: ma, senza volerlo, del teatro fascista: il mondo è come vogliamo che sia, è la nostra creazione”Tuttavia il fascismo di Pirandello non poteva durare in eterno e la spiegazione è insita nelle stesse parole di Mussolini sopra citate. Il suo tempo di libertà, la sua inquietudine caratteriale, la sua ostilità alle irregimentazioni, poco prima di morire gli faranno ritirare l’appoggio al fascismo

--- TORNA ALLA PAGINA PRECEDENTE ---

 


"Un Omaggio la Duce" © copyright 2000-2014
Tutto il materiale pubblicato in questo sito è di proprietà dei rispettivi autori